Il porto di Tosamaganga

Giovanni, 24 anni
Università di Udine, V anno di Medicina

Confesso di non aver mai puntato con convinzione a medicina. Di non essermi mai immaginato di partire per l'Africa. Neppure di scrivere su un blog. Ora, eccomi qui. La vita si svela a piccoli gradini..
Io sono qui:
Tosamaganga,
Tanzania

12/10/2016 - Chi giunge alla Guesthouse di Tosamaganga, si renderà conto che vi orbitano le persone più disparate e particolari. Giovani studenti interessati a viaggiare e vedere un altro mondo, specializzandi, statisti ed epidemiologi venuti a scopo di ricerca, anziani dottori che tornano, tormentati dal tarlo dell'Africa, nonne veterane che qui si sentono a casa. Gente diversa, con diversi modi di pensare, di comportarsi, di vivere e che giungono qui per altrettanti motivi differenti.

Scoprire i segreti e le ragioni che hanno portato tutte queste persone a incontrarsi qui in Africa si rivela essere il vero tesoro del viaggio. Sono i vecchi “lupi di mare” coloro che hanno più da raccontare.
C'è A., un anziano medico pensionato col sorriso da bambino, che ci accoglie con autentica felicità. Umile, un po' timido, sempre pronto a cedere la parola agli altri. Una sera, ci confida in lacrime che è il ricordo del suo figlio scomparso a spronarlo ogni giorno. La memoria di una vita dedicata agli altri, l'orrore di essere sopravvissuto al proprio figlio, l'ossessione di un ricordo, spingono quest'uomo remissivo fin qui, a cercare le sue tracce e a farlo rivivere nei volti dei giovani studenti. C'è T., la colonna portante della Guesthouse. Una simpatica vecchietta che nasconde un carattere d'acciaio e un acume formidabile sotto l'apparente docilità. Ha vissuto la maggior parte della sua vita in Africa e non nasconde che non le dispiacerebbe affatto finirla qui. La vista fievole e l'udito scarso non domano la sua insaziabile curiosità e fame di vita. E' commovente vederla a tavola, quando chiede di ripetere uno scambio di battute. Oppure quando mi ha pregato di insegnarle a utilizzare il suo nuovo telefonino. Non vuole perdersi niente di ciò che accade intorno a lei, non getta la spugna di fronte alle difficoltà, non accetta di rinunciare neanche a una molecola di vita e, come scrisse Pablo Neruda, “ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare”.
E poi, c'è M., un altro dottore pensionato, il vero marinaio della casa. Appena arrivati mi ha squadrato dall'alto in basso. Mi sono presentato porgendogli la mano e ha grugnito un “Piacere” senza dirmi il suo nome. Questo personaggio burbero e colto ha voluto spiegare la sua presenza lì rifacendosi al primo capitolo di Moby Dick: “Ogni volta che mi ritrovo sulla bocca una smorfia amara; ogni volta che nell'anima ho un novembre umido e stillante; quando mi sorprendo a sostare senza volerlo davanti a i magazzini di casse da morto, o ad accodarmi a tutti i funerali che incontro; e soprattutto quando solo un robusto principio morale può impedirmi di uscire deciso per strada e mettermi metodicamente a gettare in terra il cappello alla gente, allora mi rendo conto che è tempo di mettermi in mare al più presto”. Così la Guesthouse è per lui il luogo di fuga, l'evasione da un mondo che sembra essere impazzito. Ho poi scoperto, quando i suoi modi tempestosi si sono rasserenati, che è stato uno dei primi medici a venire qui a Tosamagnaga, inaugurando ciò che ora è una realtà consolidata.
Oh tu viandante che ti fermi a Tosamaganga, fermati a parlare qui nel porto!

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