Il medico nell'età della tecnica

K. Jaspers

Karl Jasper fu "medico tra i filosofi e filosofo tra i medici". Questo libro è una raccolta di testi scritti dall'autore tra il 1950 e il 1955.
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Nell'edizione del 1991, Raffaello Cortina Editore, si può trovare una interessante saggio introduttivo di Umberto Galimberti nel quale analizza gli effetti del sapere medico quando viene considerato esclusivamente come un sapere scientifico e tecnico "la spiegazione dei fatti senza l'inclusione dei suoi significati, della parte umana, è una spiegazione in-umana: perché un fatto spogliato del suo significato è in-umano" e "se la medicina si attiene solamente ai fatti escludendo i significati, questa non potrà far altro che collegare una serie di dati insignificanti tra loro. Rifiutare di far coincidere l'ordine dei significati con l'ordine dei fatti significa rifiutare di identificare la corporeità che l'esistenza vive con l'organismo che la scienza descrive". Facendo questo la medicina produce l'alienazione delle persone dai loro corpi e dalla loro esistenza. Da questa riflessione, Galimberti passa poi a descrivere cosa si intende per condizione di benessere e condizione di malessere. Attraverso la riflessione sul concetto di malessere l'autore riprende l'approccio critico sulla psichiatria e la psicoanalisi che il filosofo tedesco esprime in alcuni suoi scritti raccolti nel libro. "La condizione di malessere è anche una impossibilità ad essere è un disquilibrio dell'esistenza costretta a vivere nel proprio corpo la sua incapacità o impossibilità a progettarsi nel mondo. Ogni volta che l'esistenza non può esprimersi nel mondo come le "piace" è costretta a trattenersi e a ripiegare su di sè. Se il corpo umano non è prima di tutto un campo di gioco di forze biologiche, ma un'originaria apertura al mondo, il modo con cui l'esistenza vive il proprio corpo rivela il modo con cui vive il mondo". Con questa riflessione l'autore vuole affermare che non ci sono quindi due realtà: quella fisica e quella psichica, ma un'unica presenza che dice nel corpo il proprio modo di essere nel mondo.
Come anticipato dalla descrizione del saggio di Galimberti, il libro di Jasper si articola in due ambiti di riflessione: uno sul medico, il suol ruolo e la sua formazione durante l'epoca della tecnica; l'altro sulla critica al "giudizio psichiatrico" e alla psicanalisi.
Per quanto riguarda il primo ambito, a mio modo di vedere, la lettura dei testi di Jasper non ha aggiunto molto altro alle riflessioni già presenti (anche se storicamente postumi alla sua analisi) in altri testi di altri autori come Illich e Foucault. L'impressione poi è che sia più il medico che il filosofo a parlare quando si riferisce al ruolo del medico. Infatti, nonostante metta fortemente in discussione l'esclusivo ruolo della tecnica e del metodo scientifico nella pratica medica, l'autore non sembra essere riuscito a togliere il paziente, l'ammalato, dal suo ruolo di dipendenza nei confronti del medico e del sapere medico. Inoltre poco rilievo viene dato al ruolo sociale del medico rispetto alle cause sociali delle patologie. La sua riflessione rimane confinata all'interno della dimensione relazione medico-paziente come se questa e i suoi attori fossero considerati al di fuori del contesto storico e sociale di appartenenza. In questo modo la relazione medico-paziente acquista quasi una dimensione ontologica, così come il medico, il paziente, e i loro rispettivi ruoli. Di seguito una trascrizione a testimonianza di quanto detto
"Il medico che si fa filosofo diventa pari a un dio. Con ciò non si allude a chi si limita a studiare filosoficamente, ma al medico che agisce, che è filosofo mentre nel fluire della vita, facendo il medico, pensa secondo norme eterne. E questo è difficile.
Sulla mia anima può depositarsi, anche impercettibilmente, un velo che nasconde ciò che deve mettere in conto: l'incapacità di essere alla fine d'aiuto nonostante l'infinita buona volontà, l'impotenza di fronte a tanto amore, il silenzio volto a non intaccare l'inganno autolillusorio, la sua ignoranza cerca l'intero, che gli vieta di essere quel salvatore desiderato in segreto da tanti malati.
Il massimo che talvolta gli riesce di fare è di diventare compagno di sventura del malato, ragione con ragione, uomo con uomo, in quegli imprevedibili casi limite in cui fra medico e malato nasce un'amicizia.
E' allora che si può domandare se la stessa personalità del medico non divenga in maniera leggittima una forza guaritrice, senza bisogno che egli sia un mago o un salvatore, senza suggestione, senza nessun altro inganno.
La presenza di una personalità che per un attimo è qui di sua volontà, solo per aiutare il malato non è solo infinitamente benefica. L'esserci di una persona razionale con la forza dello spirito e l'effetto persuasivo di un'essenza incondizionatamente buona, desta nell'altro, e cosi pure nel malato, le imprevedibili potenze della fiducia, del desiderio di vita, della veracità, senza che in merito si debba spendere una parola.
Ciò che l'uomo può essere per l'uomo non si esaurisce in forme comprensibili.
Determinante è il medico al quale il suo essere medico è toccato come un dono dal cielo. La personalità del medico è ciò che non può essere mai preteso, ne mai pianificato. E' ciò in cui, solamente, i mezzi terapeutici apprendibili trovano la propria guida. Credo che noi tutti conosciamo medici simili, e in ogni medico che sa di essere nato per la sua professione è operante qualcosa del genere." (Alessandro Rinaldi)

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