Wolisso oltre l'ospedale

Carla, 26 anni
laureata dell'Università degli studi di Milano.

Amo viaggiare da sola, la cucina e il mio lavoro. Non mi piacciono la chiusura mentale, la paura del nuovo e i ragni.
Io ero qui:
Wolisso,
Etiopia

05/11/2015 - Sì, esiste una vita anche fuori dal “recinto”, cioè il nostro ambiente protetto, fatto di ospedale, guesthouse e luoghi conosciuti, in cui ci muoviamo a nostro agio nel corso delle giornate etiopi. La vita “fuori” esiste, ma non è stato sempre facile averci a che fare. Innanzitutto il tempo non è molto. Prima di partire pensavo che il tempo libero sarebbe stato di più, ma trovatami lì, ho cercato di stare più possibile in reparto. Inoltre il precoce calar del buio limitava molto le uscite settimanali.


Poi c’è la barriera culturale da superare: la gente del posto mi è sempre apparsa piuttosto invadente, ho spesso trovato difficile una comunicazione “alla pari”. Da un lato credo che questa percezione costituisca fonte di riflessione su quanto il contatto tra culture possa o meno apportare un reale cambiamento, o su quanto tale cambiamento sia impedito dall’ottica attraverso cui filtriamo la realtà. La nostra lente occidentale, un po’ asettica e privilegiata, e la loro, a mio parere, un po’ indolente e rassegnata, a volte sembrano guardare in direzioni distanti.

Ciò che però ricordo con molto piacere è l’atteggiamento di quelli che poi son diventati i miei “amici etiopi”, cioè uomini e ragazzi che dimostravano una disponibilità, protezione e affetto che raramente avevo sentito. Alcuni di loro mi hanno fatto conoscere il cibo locale, l’immancabile Injera, e mi hanno invitato a partecipare ai festeggiamenti di alcune festività, come il loro capodanno, all’interno delle proprie abitazioni. Senza dubbio questi momenti sono stati tra i più indimenticabili di tutta l’esperienza!

Non da ultimo sono stata affascinata dai bellissimi paesaggi etiopi, che osservavo durante le gite fuori porta in cui notavo l’effettiva realtà dei villaggi e le strade che li percorrevano. Ricordo di essermi commossa sulla strada per Wonchi, una strada piena di fango e buche, pensando ad una famiglia che avevo incontrato in ospedale e che proveniva proprio da questo paese: la loro bimba di pochi giorni aveva una polmonite, era in severo distress e cianotica. Arrivati in ospedale il padre era disperato. Percorrendo quella strada mi è ritornata in mente la loro disperazione, e li ho immaginati, mentre scalzi e sotto la pioggia percorrevano quella stessa strada per portare la loro piccola morente fino a noi, a Wolisso.

 

 

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