L'ospedale e le sue parole

Maria Chiara, 24 anni
Università di Trieste, V anno di Medicina

Prima di essere una studentessa sono sempre stata una viaggiatrice. Da bambina viaggiavo leggendo e poi ho iniziato ad avere lo zaino in spalla.
Io sono qui:
Tosamaganga,
Tanzania

31/03/2016 - L'ultima settimana è arrivata. Come ha scritto un po' di tempo fa un ragazzo sul guest book “i giorni sono infiniti, le settimane volano”. Niente di più vero! Le giornate sono lunghe, si sentono le ore e le immagini scorrerti addosso. Ma senza quasi accorgermene l'ultima settimana di ospedale è arrivata.

Sono qui seduta nella stanza dell'out patient department, ad aspettare il medical officer. Inaspettatamente sembra essere preoccupato di farmi attendere, ogni tanto entra a rassicuranti .“I pazienti arriveranno, pole pole”. E così trovo un momento per poter scrivere.
Durante queste quattro settimane ho cercato di esplorare tutti i reparti dell'ospedale di Tosamanga. La prima settimana sono stata in pediatria e in neonatologia con il medico CUAMM Dominik e le JPO Sara e Martina. Stanze piene di bambini ma soprattutto colme di donne, madri e nonne. 'SOLIDARIETÀ' è la parola che attribuirei a questo reparto.
La seconda e la terza settimana sono stata in chirurgia. Vista la sua disponibilità, ho seguito il dottor Richard. Senza scrupoli fin dal primo giorno mi ha fatto assistere in sala. La parola che mi suscita questo reparto è 'STERILITÀ'. Il lavaggio chirurgico si fa con una saponetta appoggiata al lavandino senza soluzione antisettico e senza acqua corrente; l'ospedale infatti è fornito di acqua piovana che viene raccolta con un filtro in delle taniche.
Il dottor Richard è un ottimo tutor, davanti ad ogni paziente mi fa una lezioncina, sintetica ed esauriente, inquadrando tutti gli aspetti della sua storia. Quando arriva la parte sul trattamento mi dice “questo è il trattamento per questo paziente” a cui spesso aggiunge “ma questo è quello che si fa qui”. Fratture che andrebbero operate che vengono messe in trazione con dei pesetti attaccati al letto sono solo un esempio.
Un giorno ho seguito il ginecologo. Anche lui molto gentile e disponibile a tradurmi dallo swahili le sue conversazioni con le pazienti. La parola di questo reparto è 'COLLOQUIO'. Ho assistito ad interminabili discorsi in cui io potevo solo cogliere le emozioni delle donne dalle espressioni che il medico suscitava in loro.
Un altro giorno sono andata a vedere come funziona il laboratorio di analisi. Ovviamente la parola è 'MICROSCOPIO'. Ho potuto vedere come si fanno le diagnosi di tubercolosi e malaria, che a differenza dell'Italia qui rappresentano la quotidianità.
Sono poi stata nella clinica HIV, in cui si fanno consulenze, medicazioni, follow up e si prescrivono le terapie. 'CONVIVERE' è la parola per questa giornata nella clinica. Vivere con questo virus le cui tre lettere ancora suscitano terrore è possibile, anche qui si può conviverci se opportunamente seguiti e supportati.
Infine sono in opd. 'ODORI' descrive sicuramente la giornata qui. Ogni paziente che entra ha un odore diverso, buono o cattivo, dolce o pungente che sia.
Ma una delle parole che più mi risuonano quando penso al lavoro in questo ospedale è 'POLE'.
Letteralmente significa 'mi dispiace'. Pole lo si dice davanti ad un paziente che ti ha appena detto che sta male o a cui hai appena dato una brutta notizia. Pole lo si dice anche ad una persona che starnutisce! Ma l'uso più bizzarro è quando il paziente si rivolge al medico dicendo pole na kazi, ovvero “mi dispiace che tu stia lavorando”. Ogni volta che lo sento penso a quanta empatia ci sia in questo Paese tra le persone, qualunque rapporto le leghi.
'EMPATIA' forse è la parola che più descrive queste quattro settimane di Africa.

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