Telefono senza fili
Astrid, 25 anni Neolaureata da Treviso Amo la nutella e non sopporto gli scarafaggi volanti. |
Io sono qui: Wolisso, Etiopia |
18/04/2015 - La comunicazione medico-paziente risulta un po' complessa. Vuoi sapere se il bimbo ha la diarrea. "Diarrhoea?" domando con il mio super inglese all'infermiere etiope. Questi traduce in amarico o in oromifa (la lingua di questa regione) al paziente. Segue lunga conversazione tra l'infermiere e il paziente, io posso solo seguire con lo sguardo prima uno poi l'altro osservando le espressioni preoccupate o serene o divertite e immaginando cosa si stanno dicendo. infine, dopo svariati minuti e molte parole, l'infermiere si gira verso di noi e dice: "no diarrhoea".
Questo telefono senza fili si complica poi quando il paziente non parla né amarico né oromifa, ma un'altra lingua di un'altra regione: ecco che intervengono altri pazienti ad aiutarci, e la catena si allunga! Il dottore domanda all'infermiere, che traduce al paziente vicino, che traduce al paziente che stiamo visitando... e la risposta poi viaggia attraverso tre persone per tornare indietro ed arrivare a noi.
Processo a volte molto lungo, pare che ad ogni step ciascuno debba dire la sua, ma di solito funziona!!
All'inizio mi sembrava che in questo modo il medico fosse lontano anni luce dal paziente e dai suoi bisogni. Riscopro invece l'importanza di un sorriso, una faccia preoccupata, una mano sulla spalla per incoraggiare o una mano tesa ad aiutare.
Qui, di sicuro, c'è più comunicazione in un piccolo gesto che in tante parole.