Bagaglio
Letizia, 25 anni Trieste - V anno di Medicina Mi piace la montagna e il profumo della pioggia d'estate, penso che il miglior mezzo di trasporto siano i propri piedi, mi piace camminare e condividere la strada. |
Io sono qui: Tosamaganga, Tanzania |
12/05/2015 - Questa avventura si conclude con una valigia smarrita e uno zaino pieno: in senso fisico, perchè la valigia si è davvero persa a Istambul mentre noi correvamo (nel più vero senso del termine!) a prendere il volo che ci avrebbe riportato a casa, e in senso metaforico.
Avviso al lettore, se poi è più di uno tanto meglio: prima di partire non avrei voluto sapere tutte le cose che sto per descrivere qui sotto, è stata una bella sorpresa scoprirle pian piano, quindi, se hai voglia di metterti in viaggio con lo stesso spirito consiglio di non proseguire o, se proprio sei curioso di sapere che fine ha fatto il bagaglio smarrito, passa alle ultime righe!
Nello zaino che ho riportato a casa ci sono tante immagini, le ultime che ho deciso di condividere qui vorrei trasmettessero il senso di serenità e gratitudine che la Tanzanìa (con l'accento sulla "i") mi ha lasciato.
La povertà esiste ma non ha la stessa immagine che arriva nell'emisfero a nord dell'equatore, non fa pietà, ecco, piuttosto direi che si tratta di essenzialità.
A Tosa la gente ha le magliette bucate e alcuni indossano scarpe rotte.
L'auto di famiglia non c'è e l'auto lavaggio,che più che per le auto serve per moto e biciclette, è una pozzanghera di fango che si riempie dopo un pomeriggio di pioggia.
Si arriva ovunque a piedi e se le distanze sono lunghe c'e il daladala, pulmino con 15 posti a sedere su cui riesce a salire un numero indefinito di persone, forse 30, e nessuno si lamenta perchè sta in piedi, anzi, c'e da sperare di essere in tanti cosi ti sorreggi a vicenda.
Non ci sono i giardini recintati, le case che spuntano in mezzo ai campi di pannocchie e girasoli sono quelle che noi potremmo definire dei bilocali con due o tre finestre e non tutte hanno il vetro per proteggersi da vento e pioggia, sembrano proprio costruite per vivere all'aperto, la porta d'ingresso è una tenda.
Ho visto bambini giocare con una palla fatta di stracci, che forse erano le loro magliette bucate, tenuti assieme dallo spago.
L'orologio al polso quasi nessuno ce l'ha, forse perché è proprio inutile, e neanche l'ombrello quando piove.
Il cibo si mangia con la mano destra e non con forchetta e coltello.
In ospedale ognuno porta le lenzuola da casa, i bidoni per la raccolta dei taglienti sono semplici scatole di cartone, i materassi, su cui mi sono solo seduta e mai distesa, sono scomodissimi pezzi di gommapiuma.
Queste immagini che qui (Trieste, Italia, Europa) fanno pensare a povertà, a me danno un senso di normale serenità. Laggiù (Tosamaganga, Tanzanìa, Africa) nessuno si lamenta o sembra far pesare la sua condizione. Questo atteggiamento positivo l'abbiamo scoperto anche nella lingua: ad "habari" si risponde"Nzuri": come va? Bene... e se va male, va comunque "Nzuri", oppure "Safi" o addirittura "Safi sana".
Per dire "si" si dice "ndio", risposta rapida, mentre "no" è "hapana", addirittura 3 sillabe per una risposta negativa, ci vuole molto più tempo, che avrete intuito essere comunque una cosa relativa in Africa.
L'unico lamento che abbiamo sentito è "aia" e ci faceva ridere perché non è la risposta che i pazienti danno in ospedale, che da questo rapido corso di swahili avrete capito essere sempre "nzuri", ma è quello che si risponde ad "asante", grazie.
Lo zaino che domenica ho riportato a casa era pieno di queste immagini e molto altro. I bagagli smarriti sono arrivati da Istambul lunedì, dentro solo vestiti sporchi di terra rossa.