A lezione di Africa, per medici italiani
Sofia, 24 anni V anno , Università di Trieste Dico sempre quello che penso, tipo: non so descrivermi in una riga :) |
Io ero qui: Wolisso, Etiopia |
Al rientro in Italia avrei voluto mettere in valigia tante cose, portarle con me in ospedale a Trieste e poterne fare tesoro. Perché sono tante le cose che i medici italiani dovrebbero imparare dall’Africa.
L’umiltà, per cominciare. Dovrebbero imparare a rapportarsi con i pazienti senza presunzione, annullando le distanze e il distacco.
Dovrebbero abbandonare formalismi inutili e prestare più attenzione alle cose davvero importanti che possono agevolare la pratica medica e il percorso intrapreso con il paziente.
Dovrebbero imparare ad essere più versatili e capaci di svolgere il proprio lavoro anche svincolati da percorsi imposti da protocolli. Si possono rivalutare gli strumenti di base, la semeiotica e soprattutto la nostra capacità di pensare, evitando esami diagnostici e sprechi di risorse inutili.
Comunicare con un paziente africano, che non parla l’inglese, non è semplice! Ma una volta che abbiamo imparato ad annullare distanze così grandi, quelle con i pazienti qui in Italia dovrebbero sembrarci meno insormontabili.
Altra impresa è la collaborazione con il personale locale! Se siamo in grado di costruire un rapporto collaborativo con persone abituate ad un metodo di lavoro diversissimo dal nostro, di trovare punti d’incontro tra mentalità divergenti, allora poi potremmo imparare a lavorare bene anche con i nostri colleghi italiani.
Inoltre, una cosa che tollero ancor meno dopo il mio ritorno, è il clima negativo che si respira in certi reparti. Mi dispiace vedere tanti medici demotivati ed inerti e mi dispiace vedere il mestiere del medico svolto come fosse una pratica come un’altra, senza entusiasmo. L’Africa dovrebbe insegnare ai medici a trovare o ritrovare l’amore per il proprio lavoro, riportando in primo piano solo ciò che è fondamentale.